Il deserto al tramonto
era uno spettacolo straordinario: gli ultimi raggi del sole traevano dalle
sabbie e dalle rocce tutte le tonalità degli ocra e dei rossi, mentre nel cielo
che imbruniva rapidamente si intuivano già le prime stelle.
L'uomo appoggiato al
parapetto della vecchia torre si guardava intorno con espressione estatica, in
quel momento si sentiva un uomo felice.
Non riusciva ancora a
credere alla fortuna che aveva avuto. Lui era un italiano, uno scrittore, uno
dei pochi che erano riusciti a trarre consistenti soddisfazioni da un mercato
avaro come era quello della fantascienza in Italia per gli autori indigeni. Un
paio di suoi romanzi erano stati pubblicati da una grossa casa editrice e
avevano ottenuto un successo inaspettato, erano stati tradotti all'estero, e
lui si era trovato quasi di colpo a essere qualcuno nell'empireo
fantascientifico.
Poi era successo che
degli amici americani conosciuti a una convention, una di quelle amicizie nate
ai margini di simili manifestazioni, passando una nottata a scolare birra
parlando di autori, di astronavi e di mondi esotici, lo avevano invitato a
trascorrere quella vacanza dalle loro parti, nel Nevada.
Quel giorno, avevano
fatto un'escursione nel deserto. Stavano rientrando a bordo del loro
fuoristrada, perché era ormai sera e il crepuscolo si avvicinava, quando lui
aveva scorto quella vecchia torre che sorgeva isolata in mezzo al nulla, e
aveva insistito per dare un'occhiata da vicino.
Si trattava
probabilmente di una costruzione dell'epoca spagnola sfuggita all'incuria del
tempo. Forse aveva fatto parte di un fortilizio, o magari era stata il
campanile di una chiesa, difficile da dire quando il resto dell'edificio o
degli edifici di cui aveva fatto parte era scomparso, sgretolato o inghiottito
dalla sabbia.
La torre stessa era un
cilindro di antichi mattoni sgretolati e mal connessi, con una buia apertura
alla base da cui si dipartiva una scala a chiocciola che si inerpicava nella
penombra, e che si intravedeva appena, e doveva portare alla sommità della
torre, o di ciò che ne rimaneva, poiché essa poteva benissimo essere stato più
alta in passato, due o tre piani più sopra.
Lui aveva insistito per
andare a dare un'occhiata, anche se i suoi ospiti l'avevano vivamente
sconsigliato.
“E' ormai quasi buio”,
avevano detto.
“Ci metterò poco”, aveva
replicato lui, “un paio di minuti. Voglio solo arrivare là in cima per
togliermi la curiosità”.
Si era inerpicato su per
quegli scalini malagevoli quasi invisibili nell'oscurità, tenendosi quanto più
possibile schiacciato contro il muro sconnesso per non mettere un piede in
fallo, era incredibile quanto l'interno della torre fosse scuro e caldo, afoso;
le vecchie pietre dovevano aver assorbito tutto il calore della giornata.
Quando fu di nuovo
all'aperto trovandosi sul piano superiore della torre, provò una sensazione di
sollievo.
Tuttavia, lo spettacolo
del deserto all'imbrunire valeva ampiamente la pena di quel piccolo sforzo.
Non occorreva nemmeno un
grosso sforzo di fantasia per immaginare...
Dario Tonani, appoggiato
al parapetto della torre immaginò fin troppo facilmente che quel deserto fosse
il luogo che la sua immaginazione aveva costruito, Mondo9, benché potesse
essere ugualmente bene Arrakis, Dune o il Marte di Ray Bradbury, ma la sua
mente andava in una precisa direzione, quello ERA Mondo9. A un certo punto, la
percezione era così netta che alzò la testa fissando lo sguardo nel crepuscolo
incombente per intravvedere il volo di un'alaquadra.
All'improvviso, provò
una sensazione di freddo assolutamente incongrua. Possibile? Il parapetto su
cui si era poggiato non sembrava più fatto di pietra ma di metallo. Non ebbe il
tempo di stupirsene, perché un fruscio alle sue spalle lo fece voltare.
Non aveva mai visto con
gli occhi l'essere che stava avanzando verso di lui, ma non avrebbe potuto
avere dubbi sulla sua natura, perché l'aveva visualizzato molte volte con la
mente in tutti i particolari: quella creatura che sembrava fatta di ottone
eppure si muoveva con la fluidità di un essere vivente, quell'umanoide
metallico nel cui viso calvo le orbite erano pozzi di oscurità profonda, eppure
sembrava vedere o percepire benissimo la sua presenza con sensi sconosciuti,
era fuori di dubbio un mechardionico, uno strappacuori!
Reprimendo un grido strozzato,
Dario Tonani arretrò, poi si diede alla fuga, una fuga assurda, senza speranza
lungo il perimetro circolare della sommità della torre. Dov'era la botola che
portava alla scala a chiocciola e ai piani sottostanti? Possibile che non
riuscisse più a trovarla?
Il mechardionico era
ormai vicinissimo, l'aveva costretto in un angolo. Dario Tonani arretrò ancora
quanto gli era possibile. Il parapetto di mattoni sconnessi della vecchia torre
cedette all'improvviso, e l'uomo precipitò nel vuoto.
Mentre il suo corpo
impattava duramente sul suolo sottostante, Tonani notò il ribollire della
sabbia intorno a lui, tutto attorno stavano uscendo dallo strato sabbioso
creature vagamente simili a enormi fiori dai petali carnosi.
“Mangiaruggine”, pensò
fuggevolmente mentre la sua coscienza svaniva, “Mangiaruggine”.
Sulla sommità della
torre, il mechardionico subì una trasformazione, il suo aspetto divenne più
nebuloso, indistinto, riacquistò l'apparenza del fantasma che effettivamente
era, il fantasma di un uomo la cui mente aveva vagato attraverso i pianeti e le
stelle ma rimaneva inequivocabilmente terrestre, un astronomo, il fantasma di
un uomo che in vita aveva portato il nome di Clyde Tombaugh.
L'anima di un uomo dopo
la scomparsa del corpo fisico, talvolta tarda a raggiungere il suo destino
ultraterreno: un compito, un desiderio, una vendetta da compiere, possono
ancora legarla al piano materiale.
Per tutta la sua vita,
Clyde era stato fiero di essere stato lo scopritore di Plutone, il nono pianeta
del sistema solare, ma poco dopo la sua morte era arrivato lo smacco: Plutone
era stato declassato a pianeta nano, e i mondi importanti che orbitavano
intorno al sole erano tornati a essere otto. Si era accorto che una parte
importante nell'influenzare la comunità scientifica a prendere quella
scellerata decisione, l'aveva avuta un libro di fantascienza scritto da un
autore italiano dove si parlava di un nono mondo, un Mondo9 alternativo a
Plutone, e benché si trattasse di null'altro che di una costruzione di
fantasia, il suo impatto psicologico l'aveva avuto.
Leggendo nella mente di
Dario Tonani morente, Clyde Tombaugh si rese conto che la sua vendetta non era
ancora completa. C'era un altro uomo che aveva dato concretezza a Mondo9 col
suo lavoro di illustratore, aveva fatto sì che tanti visualizzassero quella
fantasticheria come se fosse stata una realtà.
“Franco Brambilla”,
pensò, “adesso tocca a te”.
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