lunedì 31 ottobre 2016

LA VENDETTA di Fabio Calabrese

Il deserto al tramonto era uno spettacolo straordinario: gli ultimi raggi del sole traevano dalle sabbie e dalle rocce tutte le tonalità degli ocra e dei rossi, mentre nel cielo che imbruniva rapidamente si intuivano già le prime stelle.
L'uomo appoggiato al parapetto della vecchia torre si guardava intorno con espressione estatica, in quel momento si sentiva un uomo felice.
Non riusciva ancora a credere alla fortuna che aveva avuto. Lui era un italiano, uno scrittore, uno dei pochi che erano riusciti a trarre consistenti soddisfazioni da un mercato avaro come era quello della fantascienza in Italia per gli autori indigeni. Un paio di suoi romanzi erano stati pubblicati da una grossa casa editrice e avevano ottenuto un successo inaspettato, erano stati tradotti all'estero, e lui si era trovato quasi di colpo a essere qualcuno nell'empireo fantascientifico.
Poi era successo che degli amici americani conosciuti a una convention, una di quelle amicizie nate ai margini di simili manifestazioni, passando una nottata a scolare birra parlando di autori, di astronavi e di mondi esotici, lo avevano invitato a trascorrere quella vacanza dalle loro parti, nel Nevada.
Quel giorno, avevano fatto un'escursione nel deserto. Stavano rientrando a bordo del loro fuoristrada, perché era ormai sera e il crepuscolo si avvicinava, quando lui aveva scorto quella vecchia torre che sorgeva isolata in mezzo al nulla, e aveva insistito per dare un'occhiata da vicino.
Si trattava probabilmente di una costruzione dell'epoca spagnola sfuggita all'incuria del tempo. Forse aveva fatto parte di un fortilizio, o magari era stata il campanile di una chiesa, difficile da dire quando il resto dell'edificio o degli edifici di cui aveva fatto parte era scomparso, sgretolato o inghiottito dalla sabbia.
La torre stessa era un cilindro di antichi mattoni sgretolati e mal connessi, con una buia apertura alla base da cui si dipartiva una scala a chiocciola che si inerpicava nella penombra, e che si intravedeva appena, e doveva portare alla sommità della torre, o di ciò che ne rimaneva, poiché essa poteva benissimo essere stato più alta in passato, due o tre piani più sopra.
Lui aveva insistito per andare a dare un'occhiata, anche se i suoi ospiti l'avevano vivamente sconsigliato.
“E' ormai quasi buio”, avevano detto.
“Ci metterò poco”, aveva replicato lui, “un paio di minuti. Voglio solo arrivare là in cima per togliermi la curiosità”.
Si era inerpicato su per quegli scalini malagevoli quasi invisibili nell'oscurità, tenendosi quanto più possibile schiacciato contro il muro sconnesso per non mettere un piede in fallo, era incredibile quanto l'interno della torre fosse scuro e caldo, afoso; le vecchie pietre dovevano aver assorbito tutto il calore della giornata.
Quando fu di nuovo all'aperto trovandosi sul piano superiore della torre, provò una sensazione di sollievo.
Tuttavia, lo spettacolo del deserto all'imbrunire valeva ampiamente la pena di quel piccolo sforzo.
Non occorreva nemmeno un grosso sforzo di fantasia per immaginare...
Dario Tonani, appoggiato al parapetto della torre immaginò fin troppo facilmente che quel deserto fosse il luogo che la sua immaginazione aveva costruito, Mondo9, benché potesse essere ugualmente bene Arrakis, Dune o il Marte di Ray Bradbury, ma la sua mente andava in una precisa direzione, quello ERA Mondo9. A un certo punto, la percezione era così netta che alzò la testa fissando lo sguardo nel crepuscolo incombente per intravvedere il volo di un'alaquadra.
All'improvviso, provò una sensazione di freddo assolutamente incongrua. Possibile? Il parapetto su cui si era poggiato non sembrava più fatto di pietra ma di metallo. Non ebbe il tempo di stupirsene, perché un fruscio alle sue spalle lo fece voltare.
Non aveva mai visto con gli occhi l'essere che stava avanzando verso di lui, ma non avrebbe potuto avere dubbi sulla sua natura, perché l'aveva visualizzato molte volte con la mente in tutti i particolari: quella creatura che sembrava fatta di ottone eppure si muoveva con la fluidità di un essere vivente, quell'umanoide metallico nel cui viso calvo le orbite erano pozzi di oscurità profonda, eppure sembrava vedere o percepire benissimo la sua presenza con sensi sconosciuti, era fuori di dubbio un mechardionico, uno strappacuori!
Reprimendo un grido strozzato, Dario Tonani arretrò, poi si diede alla fuga, una fuga assurda, senza speranza lungo il perimetro circolare della sommità della torre. Dov'era la botola che portava alla scala a chiocciola e ai piani sottostanti? Possibile che non riuscisse più a trovarla?
Il mechardionico era ormai vicinissimo, l'aveva costretto in un angolo. Dario Tonani arretrò ancora quanto gli era possibile. Il parapetto di mattoni sconnessi della vecchia torre cedette all'improvviso, e l'uomo precipitò nel vuoto.
Mentre il suo corpo impattava duramente sul suolo sottostante, Tonani notò il ribollire della sabbia intorno a lui, tutto attorno stavano uscendo dallo strato sabbioso creature vagamente simili a enormi fiori dai petali carnosi.
“Mangiaruggine”, pensò fuggevolmente mentre la sua coscienza svaniva, “Mangiaruggine”.
Sulla sommità della torre, il mechardionico subì una trasformazione, il suo aspetto divenne più nebuloso, indistinto, riacquistò l'apparenza del fantasma che effettivamente era, il fantasma di un uomo la cui mente aveva vagato attraverso i pianeti e le stelle ma rimaneva inequivocabilmente terrestre, un astronomo, il fantasma di un uomo che in vita aveva portato il nome di Clyde Tombaugh.
L'anima di un uomo dopo la scomparsa del corpo fisico, talvolta tarda a raggiungere il suo destino ultraterreno: un compito, un desiderio, una vendetta da compiere, possono ancora legarla al piano materiale.
Per tutta la sua vita, Clyde era stato fiero di essere stato lo scopritore di Plutone, il nono pianeta del sistema solare, ma poco dopo la sua morte era arrivato lo smacco: Plutone era stato declassato a pianeta nano, e i mondi importanti che orbitavano intorno al sole erano tornati a essere otto. Si era accorto che una parte importante nell'influenzare la comunità scientifica a prendere quella scellerata decisione, l'aveva avuta un libro di fantascienza scritto da un autore italiano dove si parlava di un nono mondo, un Mondo9 alternativo a Plutone, e benché si trattasse di null'altro che di una costruzione di fantasia, il suo impatto psicologico l'aveva avuto.
Leggendo nella mente di Dario Tonani morente, Clyde Tombaugh si rese conto che la sua vendetta non era ancora completa. C'era un altro uomo che aveva dato concretezza a Mondo9 col suo lavoro di illustratore, aveva fatto sì che tanti visualizzassero quella fantasticheria come se fosse stata una realtà.
“Franco Brambilla”, pensò, “adesso tocca a te”.

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