mercoledì 9 novembre 2016

GENESI di Teresa Regna

Era una radiosa giornata, assolata ma non eccessivamente calda poiché una brezza leggera soffiava verso est. Un pensiero illegale si insinuò, lieve come una piuma, nella mente di Samkel: e se non fosse andato a scuola? Era sufficiente svoltare a destra, in direzione del parco, invece che a sinistra, e sperare che nessun adulto se ne accorgesse.
Mentre il bambino era immerso in questa riflessione, Xelin, un compagno di classe, gli si avvicinò senza far rumore. “Cosa hai intenzione di fare?”, chiese, con voce sinistramente melliflua.
“Vado a scuola, proprio come te”, rispose Samkel, timoroso che il pensiero illegale che l’aveva sfiorato potesse essersi riflesso nel suo sguardo. Xelin non avrebbe esitato un attimo a denunciarlo all’insegnante, ne era certo. Si incamminò a fianco del compagno, con gli occhi bassi.
“Oggi è un gran giorno”, affermò Xelin, riprendendo il cammino interrotto. “Abbiamo la prima lezione di religione”.
*****
L’uomo rabbrividì. Era nudo, disteso su un letto situato all’interno di un contenitore cilindrico. La penombra in cui era immerso si dissipò a poco a poco, e anche la sua mente riprese pian piano a schiarirsi.
Edward Williams, questo era il suo nome. Era stato ibernato... quanto tempo prima? Non lo ricordava. Perché non c’era nessuno ad accoglierlo? Dov’erano gli abiti?
Lentamente, cominciò a muoversi. Trascorsero alcuni minuti prima che riuscisse a riacquistare la completa padronanza sul proprio corpo, e a ricordare il motivo per cui aveva deciso di farsi ibernare. Gli abiti erano accanto a lui, in un contenitore cubico.
*****
L’insegnante scoccò a Samkel un’occhiata severa, ed ottenne l’effetto desiderato: lo sguardo dell’alunno si distolse dalla vetrata d’ingresso, posandosi sul libro aperto. Quando si insegna in una classe di trentacinque bambini non è possibile fare alcuna concessione; bisogna mantenere la disciplina anche a costo di sembrare insopportabili.
Il libro si chiamava Genesi o Libro delle Leggende. Samkel lo riteneva poco interessante: conosceva già da tempo il suo contenuto. Ogni bambino della classe aveva udito quelle storie almeno un centinaio di volte, raccontate dai genitori anziani oppure dagli uguali di qualche anno più grandi.
In principio era il Caos. Poi Adev, genitore di tutti i viventi, decise che era tempo di dare una forma al Caos. Pertanto creò il Mondo, il Cielo, il Sole, le Stelle e i Pianeti. Generò infine tutto ciò che si trova sul Mondo, incluso l’Uomo, al quale assegnò il compito di popolare il pianeta...
Un raggio di sole colpì il banco di Samkel. Che peccato dover restare al chiuso, a leggere quelle vecchie storie noiose, pensò il bambino. Staccò gli occhi dal libro, e cominciò a seguire il corso delle sue riflessioni. Per sua fortuna, l’insegnante non se ne accorse.
 *****
I capelli erano cresciuti, sia pure a ritmo ridotto, durante il periodo di ibernazione, e ora si ostinavano a ricadere negli occhi di Ed. L’uomo li ravviò con un gesto impaziente mentre si allontanava dalla costruzione che l’aveva ospitato per... quanti anni? La memoria continuava a giocargli dei brutti scherzi, dopo il risveglio.
In cuor suo sperava di non incontrare nessuno finché non fosse riuscito a stabilire, con una certa approssimazione, in quale epoca era finito e, soprattutto, che tipo di persone popolassero la Terra. Non erano mai stati troppo amichevoli con gli stranieri, i terrestri. E lui, in un’epoca posteriore alla sua, era uno straniero.
Cominciò ad osservare le costruzioni che lo circondavano: avevano una forma familiare, ma parevano fatte interamente di vetro, o di un materiale con le stesse proprietà. A quell’ora tutti gli abitanti dovevano essere al lavoro, perché non si scorgeva anima viva. Cosa era accaduto mentre lui era ibernato? La curiosità lo divorava: aveva dormito per tanto tempo che gli pareva di essere un neonato appena uscito dall’utero materno. Avvertiva un bisogno quasi fisiologico di scoprire il mondo.
Samkel sbucò, all’improvviso, da una stradina laterale. Preso alla sprovvista, Ed non fece in tempo a nascondersi. Quello che aveva di fronte sembrava un bambino del tutto normale, e la sua espressione era così dolce che l’uomo ne fu subito conquistato.
In una lingua tutto sommato comprensibile, anche se leggermente diversa da quella adoperata all’epoca di Ed, Samkel chiese “Chi sei?”. Lo scrutò con attenzione per qualche istante, poi aggiunse “Conosco tutti qui in città, eppure non ti ho mai visto prima”.
“Sono nuovo di qui”, rispose l’uomo, dopo aver tirato un sospiro di sollievo all’idea di non avere alcun problema di comunicazione. “Potresti dirmi dove mi trovo?”.
Il bambino sembrava sbigottito da quella semplice richiesta. Siccome, però, sarebbe stato scortese evitare di rispondere ad un adulto, spiegò “Siamo a Nakaliss. Non conosci la capitale di Mondo?”. Continuò a scrutarlo con sguardo indagatore, e aggiunse “I tuoi abiti sono strani, e non somigli agli altri adulti. Perché non mi dici chi sei?”.
Ed non ritenne opportuno fornire quelle spiegazioni ad un bambino. “Dove posso trovare un uomo autorevole?”, domandò ancora. Il suo tono tradiva una certa esitazione, che faceva il paio con l’accento inequivocabilmente straniero.
“Non capisco perché usi le parole della Genesi”, sbottò Samkel, sempre più sbalordito. “Io sono un bambino, tu sei un adulto. Uomo siamo tutti noi”.
Fu Ed a stupirsi, questa volta: nel futuro non adoperavano il termine uomo per riferirsi ad un individuo? Tentò ancora. “Chi è il capo di questa città?”.
“Non conosci nemmeno il nome del Sacerdote Massimo?”. Il bambino cominciava a sospettare che l’adulto provenisse da un altro pianeta. “Ti porterò da Kantel”, affermò, infine. “Chiederai al Sommo quello che vuoi sapere”. La decisione appena presa lo fece sentire molto saggio.
*****
A giudicare dalla tuta color porpora che indossava, Kantel doveva essere non solo il capo della città, ma dell’intero pianeta. Una sola volta in vita sua Ed aveva visto un altro abito di quel colore, addosso ad una spogliarellista.
L’espressione del Sommo era indecifrabile. Non sarebbe stato facile spiegare cosa ci faceva lì un uomo del ventunesimo secolo a quell’individuo che pareva la quintessenza dell’impassibilità.
“Buongiorno”, lo salutò, tentando di imprimere alla voce un tono cordiale.
“Pace a te, straniero”, replicò una voce dal timbro femmineo.
In un lampo, Ed capì. Impiegò una manciata di secondi a riacquistare il controllo di sé. Mentre riordinava le idee, replicò “Pace anche a te, Sommo”. C’erano un paio di particolari che ancora gli sfuggivano.
 *****
Poco dopo la sua ibernazione, doveva essere scoppiato il temuto conflitto nucleare. La terra si era spopolata, ma la sua creatura aveva trovato l’habitat adatto per riprodursi e prosperare. Nel volgere di poche generazioni, i suoi discendenti avevano riempito il pianeta.
Adev, probabilmente, aveva raccontato ai figli e ai nipoti la sua storia, ma poi essa era andata perduta col passare degli anni. Oppure lo stesso Adev aveva preferito dimenticare che un tempo c’erano stati uomini e donne, e che lui/lei era il frutto di una deliberata mutazione genetica operata con il suo consenso dal professor Edward Williams.
D’altro canto, ogni popolo si crea il dio che preferisce. E forse un dio umano non era abbastanza allettante per i nuovi terrestri.
Non avrebbe mai immaginato, però, che dalla sua creatura, Adev, sarebbero nati dei fanatici religiosi tanto intolleranti da far invidia alla Santa Inquisizione. Perché si era ostinato a voler difendere la verità?
Era ormai giunto al termine della sua esistenza: all’alba lo avrebbero impiccato per eresia. Sarebbe stato giustiziato dai pronipoti dell’androgino che aveva creato allo scopo di rendere migliore l’umanità.
Chissà perché, aveva una gran voglia di ridere.

 

 

 

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