Era
una radiosa giornata, assolata ma non eccessivamente calda poiché una brezza
leggera soffiava verso est. Un pensiero illegale si insinuò, lieve come una
piuma, nella mente di Samkel: e se non fosse andato a scuola? Era sufficiente
svoltare a destra, in direzione del parco, invece che a sinistra, e sperare che
nessun adulto se ne accorgesse.
Mentre il bambino era
immerso in questa riflessione, Xelin, un compagno di classe, gli si avvicinò
senza far rumore. “Cosa hai intenzione di fare?”, chiese, con voce
sinistramente melliflua.
“Vado a scuola, proprio
come te”, rispose Samkel, timoroso che il pensiero illegale che l’aveva
sfiorato potesse essersi riflesso nel suo sguardo. Xelin non avrebbe esitato un
attimo a denunciarlo all’insegnante, ne era certo. Si incamminò a fianco del
compagno, con gli occhi bassi.
“Oggi è un gran giorno”,
affermò Xelin, riprendendo il cammino interrotto. “Abbiamo la prima lezione di
religione”.
*****
L’uomo
rabbrividì. Era nudo, disteso su un letto situato all’interno di un contenitore
cilindrico. La penombra in cui era immerso si dissipò a poco a poco, e anche la
sua mente riprese pian piano a schiarirsi.
Edward Williams, questo
era il suo nome. Era stato ibernato... quanto tempo prima? Non lo ricordava.
Perché non c’era nessuno ad accoglierlo? Dov’erano gli abiti?
Lentamente, cominciò a
muoversi. Trascorsero alcuni minuti prima che riuscisse a riacquistare la
completa padronanza sul proprio corpo, e a ricordare il motivo per cui aveva
deciso di farsi ibernare. Gli abiti erano accanto a lui, in un contenitore
cubico.
*****
L’insegnante
scoccò a Samkel un’occhiata severa, ed ottenne l’effetto desiderato: lo sguardo
dell’alunno si distolse dalla vetrata d’ingresso, posandosi sul libro aperto.
Quando si insegna in una classe di trentacinque bambini non è possibile fare
alcuna concessione; bisogna mantenere la disciplina anche a costo di sembrare
insopportabili.
Il libro si chiamava
Genesi o Libro delle Leggende. Samkel lo riteneva poco interessante: conosceva
già da tempo il suo contenuto. Ogni bambino della classe aveva udito quelle
storie almeno un centinaio di volte, raccontate dai genitori anziani oppure
dagli uguali di qualche anno più grandi.
In
principio era il Caos. Poi Adev, genitore di tutti i viventi, decise che era
tempo di dare una forma al Caos. Pertanto creò il Mondo, il Cielo, il Sole, le
Stelle e i Pianeti. Generò infine tutto ciò che si trova sul Mondo, incluso
l’Uomo, al quale assegnò il compito di popolare il pianeta...
Un
raggio di sole colpì il banco di Samkel. Che peccato dover restare al chiuso, a
leggere quelle vecchie storie noiose, pensò il bambino. Staccò gli occhi dal
libro, e cominciò a seguire il corso delle sue riflessioni. Per sua fortuna,
l’insegnante non se ne accorse.
I
capelli erano cresciuti, sia pure a ritmo ridotto, durante il periodo di
ibernazione, e ora si ostinavano a ricadere negli occhi di Ed. L’uomo li ravviò
con un gesto impaziente mentre si allontanava dalla costruzione che l’aveva
ospitato per... quanti anni? La memoria continuava a giocargli dei brutti
scherzi, dopo il risveglio.
In
cuor suo sperava di non incontrare nessuno finché non fosse riuscito a
stabilire, con una certa approssimazione, in quale epoca era finito e,
soprattutto, che tipo di persone popolassero la Terra. Non erano mai stati
troppo amichevoli con gli stranieri, i terrestri. E lui, in un’epoca posteriore
alla sua, era uno straniero.
Cominciò
ad osservare le costruzioni che lo circondavano: avevano una forma familiare,
ma parevano fatte interamente di vetro, o di un materiale con le stesse
proprietà. A quell’ora tutti gli abitanti dovevano essere al lavoro, perché non
si scorgeva anima viva. Cosa era accaduto mentre lui era ibernato? La curiosità
lo divorava: aveva dormito per tanto tempo che gli pareva di essere un neonato
appena uscito dall’utero materno. Avvertiva un bisogno quasi fisiologico di
scoprire il mondo.
Samkel
sbucò, all’improvviso, da una stradina laterale. Preso alla sprovvista, Ed non
fece in tempo a nascondersi. Quello che aveva di fronte sembrava un bambino del
tutto normale, e la sua espressione era così dolce che l’uomo ne fu subito
conquistato.
In
una lingua tutto sommato comprensibile, anche se leggermente diversa da quella
adoperata all’epoca di Ed, Samkel chiese “Chi sei?”. Lo scrutò con attenzione
per qualche istante, poi aggiunse “Conosco tutti qui in città, eppure non ti ho
mai visto prima”.
“Sono
nuovo di qui”, rispose l’uomo, dopo aver tirato un sospiro di sollievo all’idea
di non avere alcun problema di comunicazione. “Potresti dirmi dove mi trovo?”.
Il
bambino sembrava sbigottito da quella semplice richiesta. Siccome, però,
sarebbe stato scortese evitare di rispondere ad un adulto, spiegò “Siamo a
Nakaliss. Non conosci la capitale di Mondo?”. Continuò a scrutarlo con sguardo
indagatore, e aggiunse “I tuoi abiti sono strani, e non somigli agli altri
adulti. Perché non mi dici chi sei?”.
Ed
non ritenne opportuno fornire quelle spiegazioni ad un bambino. “Dove posso
trovare un uomo autorevole?”, domandò ancora. Il suo tono tradiva una certa
esitazione, che faceva il paio con l’accento inequivocabilmente straniero.
“Non
capisco perché usi le parole della Genesi”, sbottò Samkel, sempre più
sbalordito. “Io sono un bambino, tu sei un adulto. Uomo siamo tutti noi”.
Fu
Ed a stupirsi, questa volta: nel futuro non adoperavano il termine uomo per
riferirsi ad un individuo? Tentò ancora. “Chi è il capo di questa città?”.
“Non
conosci nemmeno il nome del Sacerdote Massimo?”. Il bambino cominciava a
sospettare che l’adulto provenisse da un altro pianeta. “Ti porterò da Kantel”,
affermò, infine. “Chiederai al Sommo quello che vuoi sapere”. La decisione
appena presa lo fece sentire molto saggio.
*****
A
giudicare dalla tuta color porpora che indossava, Kantel doveva essere non solo
il capo della città, ma dell’intero pianeta. Una sola volta in vita sua Ed
aveva visto un altro abito di quel colore, addosso ad una spogliarellista.
L’espressione
del Sommo era indecifrabile. Non sarebbe stato facile spiegare cosa ci faceva
lì un uomo del ventunesimo secolo a quell’individuo che pareva la quintessenza
dell’impassibilità.
“Buongiorno”,
lo salutò, tentando di imprimere alla voce un tono cordiale.
“Pace
a te, straniero”, replicò una voce dal timbro femmineo.
In
un lampo, Ed capì. Impiegò una manciata di secondi a riacquistare il controllo
di sé. Mentre riordinava le idee, replicò “Pace anche a te, Sommo”. C’erano un
paio di particolari che ancora gli sfuggivano.
Poco
dopo la sua ibernazione, doveva essere scoppiato il temuto conflitto nucleare.
La terra si era spopolata, ma la sua creatura aveva trovato l’habitat adatto
per riprodursi e prosperare. Nel volgere di poche generazioni, i suoi
discendenti avevano riempito il pianeta.
Adev,
probabilmente, aveva raccontato ai figli e ai nipoti la sua storia, ma poi essa
era andata perduta col passare degli anni. Oppure lo stesso Adev aveva
preferito dimenticare che un tempo c’erano stati uomini e donne, e che lui/lei
era il frutto di una deliberata mutazione genetica operata con il suo consenso
dal professor Edward Williams.
D’altro
canto, ogni popolo si crea il dio che preferisce. E forse un dio umano non era
abbastanza allettante per i nuovi terrestri.
Non
avrebbe mai immaginato, però, che dalla sua creatura, Adev, sarebbero nati dei
fanatici religiosi tanto intolleranti da far invidia alla Santa Inquisizione.
Perché si era ostinato a voler difendere la verità?
Era
ormai giunto al termine della sua esistenza: all’alba lo avrebbero impiccato
per eresia. Sarebbe stato giustiziato dai pronipoti dell’androgino che aveva
creato allo scopo di rendere migliore l’umanità.
Chissà
perché, aveva una gran voglia di ridere.
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