Durò assai poco la
piena libertà di noi semi - umani, oppure disumani o mezzi - umani o come ci
vollero chiamare nel passato e come non ci avrebbero più dovuto chiamare
nell'oggi. Solo che, come ho appena detto, tale libertà o senso di libertà non
ebbe poi molte occasioni per manifestarsi.
Tutto ebbe inizio tanto
tempo fa, come si legge nell'esordio di tanti racconti e raccontini. Long time
ago... Non avemmo genitori, non eravamo figli di discendenza alcuna, visto che
eravamo nati artificialmente con qualcosa di umano e altre cose artificiali,
senza le quali non saremmo neanche vissuti, financo nemmeno concepiti. Eppure
per disgrazia nostra e solo nostra ci concepirono e ci buttarono sul mercato,
sulla terra, nel mondo, in cerca di occupazione. Anzi, furono "loro",
gli stramaledetti "loro" a darci qualche occupazione da schiavi,
servi, gendarmi, cavie, soldati. E via con la lista di impieghi da emarginati
in cerca di riscatto che tale riscatto mai troveranno perché è ab origine che
la tara si annida in noi. E in noi si annida poiché noi tutti fummo creati da creatori
umani per ubbidire ai creatori nostri.
Gli inizi? Ci vuole
poca immaginazione a concepirli.
I primi pezzi
sfornati da incerti laboratori diretti da altrettanto incerte mani erano mostri
mezzi macchina e mezzo uomo o mezza donna. Parti artificiali in rilievo palese,
occhi finti, oppure occhi veri e braccia finte, gambe di metallo, unghie di
plastica e un cervello sviluppato a forza di chip infilati in serie nelle
meningi. Eravamo i mostri del mondo, bastava uno straccio di embrione e qualche
seme di metallo autosviluppantesi perché la parte artificiale crescesse
lasciando libera quella naturale di svilupparsi a sua volta. Ma come si
sviluppava la parte naturale? Codesta parte, a dire il vero, si sarebbe voluta
sviluppare secondo indicazioni del dna originario, ma trovava ostacolo nello
sviluppo del dna artificiale, un misto di organico e di metallico. Le due zone,
mai fuse, mai entrate in comunione, cominciarono a urtarsi e confliggere l'una
con l'altra fino, appunto, a degli esiti clamorosamente disgraziati, che
seminarono il terrore per tutto il mondo, dopo che molti di noi, ancora in una
fase di sviluppo iniziale, da non rivelare, riuscirono ad evadere da due o tre
laboratori lager e gironzolare liberamente, senza nulla fare però, non
uccidendo nessuno, anche se ce ne sarebbe stato ampio motivo, non fosse che per
esigere vendetta da coloro che ci avevano fatto nascere e ci avevano
scaraventato in quell'inferno. Bastarono alcune foto fatte girare per il web
(ovviamente tutti sapete cosa sia) e l'esistenza di tali laboratori fu resa
nota con ripercussioni immaginabili. I nostri governanti decisero dunque di
chiuderla con quel filone e misero i sigilli agli esperimenti.
Per finta.
Nei parlamenti si
moltiplicarono le petizioni e gli interventi affinché ogni cosa fosse portata
alla luce del sole, affinché fosse fatta chiarezza piena su quelli che si
potevano definire gli sviluppi dell'umanità tutta. "Non vogliamo morire
robot" fu il grido che percorse il globo da un angolo all'altro. Slogan
errato, poiché quello giusto sarebbe dovuto essere: "Non vogliamo nascere
robot". Robot, infatti, si nasceva. Un po' di materiale d'embrione, tanto
per avere due occhi, due mani e due gambe, tanto per stare in piedi. E poi la
parte artificiale, quella che determinava impulsi e ragionamenti. Se poi si
voleva tentare la sorte, si sarebbero potuti programmare organi misti, natural
- meccanici. Braccia robuste ma metalliche, una super vista (con occhi di tipi
periscopico, terrificanti, inammissibili). O super denti, con una dentatura da
squalo, rilucente metallo, capace di frantumare sassi e ferro (con adeguato
sistema digerente artificiale e tubo di espulsione a corredo di tutto questo).
Insomma, si poteva variare a seconda delle esigenze. Se servivano cinquecento
operai schiavizzati, ecco che si potevano commissionare alle ditte
specializzate. Se occorreva un esercito di netturbini, ecco l'esercito, almeno
su carta. Dico "su carta" perché, dopo i primi esperimenti dall'esito
mostruoso e la diffusione dei medesimi esiti presso media e opinione pubblica,
si mise uno stop a sperimentazione e eventuali commesse.
Per finta, però.
Perché ai governi non
conveniva affatto buttare via l'occasione, nossignore. Così in segretissimi
laboratori statali, sorvegliatissimi per evitare brutte sorprese come quelle
che c'erano già state, iniziò una sorta di count down per creare l'uomo del
futuro, o la donna del futuro: esternamente identici agli esseri umani
circolanti nati da donna, ma con qualcosa in più, vale a dire un micro chip
talmente chip da essere non rilevabile. Fummo creati e messi su piazza all'età
di qualche mese, fumo dati in adozione, andammo a scuola, alle elementari e poi
alle superiori. E poi tutto il resto. Ci fidanzammo, ci sposammo ma poi si
scoprì che eravamo sterili. Per molte coppie eterosessuali questo fu un dramma,
un po' meno lo fu per le coppie omosessuali, meno condizionate dall'aspettativa
di avere un figlio in maniera naturale. Ma comunque sempre di dramma si trattò.
Il dramma aumentò di estensione. Molte coppie al mondo si rivelarono sterili. I
tassi di infertilità furono alti. Si diede la colpa ora a questa cosa, ora a
quest'altra, le solite ragioni che si avanzano quando si è nell'incertezza. La
risposta vera alla domanda era la seguente: troppi esseri metà artificiali metà
naturali erano stati messi su piazza. Già, ma quanti furono? Milioni? Quanti
milioni? Tanti quanti, per esempio, gli esemplari di computer portatili venduti
(intendo i famosi computer da tasca che sostituirono gli arcaici iPad o come si
chiamavano cent'anni fa...)? Gli stessi creatori di noi mezzi umani e mezzi no,
gli stessi che ci avevano fabbricato, avevano perso il conto.
A meno che...
A meno che noi, mezzi
e mezzi, non avessimo trovato un modo per riprodurci. Con quale risultato?
Nessuno avrebbe potuto prevederlo. Quello di creare una nuova razza dominante?
Noi, lo dico subito, non eravamo consapevoli della nostra diversità. No, non lo
eravamo. Fino ad un certo punto.
Fino a che non entrai
in contatto con certa gente che mi fece capire che io, proprio io, ero un mix
di roba, un mix di robaccia. Non ero nato da donna, ma in laboratorio. Troppi,
al mondo, erano nati in laboratorio. Nel nostro cranio era impiantato un micro
chip, assi micro, non rilevabile. Dovevamo estrarlo. Ma come? Non c'era il rischio
di morire? E poi, se nemmeno si poteva rilevare...
Sì, lo si poteva
rilevare ma non era cosa immediata.
E cosa avvenne? Come
si conclude la storia?
Mentre noi prendevamo
coscienza del nostro stato, anche i governi, i creatori, prendevano coscienza che
noi stavamo prendendo coscienza.
E forse nei governi
già lavoravano, erano presenti, esseri artificiali? E forse già gli artificiali
potevano riprodursi? I governi dovevano intervenire.
Fu inviato un segnale
universale che avrebbe dovuto raggiungere il micro micro chip impiantato in noi
al fine di ridurci all'obbedienza più assoluta, senza che dall'esterno si
vedesse nulla. E qui finisce per il momento la storia. Coi governi che mandano
impulsi e noi che giriamo dalla mattina alla sera con un casco di metallo per
impedire che l'ordine wireless dei governi ci raggiunga. Funzionerà, non
funzionerà? Chi lo sa. Anche perché non si capisce chi sia artificiale e chi
non lo sia. Tutti vogliono il caschetto, che ormai non si trova più neanche al
mercato nero. Ecco come va il mondo oggi.
Un cordiale benvenuto a Frank sulle pagine di Asimov.
RispondiElimina