martedì 25 ottobre 2016

TYRANNOSAURUS REX di Paolo Secondini

Si udì dapprima un sordo brontolio: una specie di tuono in lontananza e, subito dopo, un grido possente, lacerante.
Jennifer si svegliò di soprassalto. Gli occhi assonnati, volse lo sguardo intorno e non vide che alberi, erba, cespugli, rischiarati dai vividi raggi della luna.
Tese la mano verso il ragazzo che ancora dormiva al suo fianco, chiuso nel sacco a pelo, e lo scosse più volte.
«Svegliati, Alfred! Svegliati!» disse con voce convulsa. «Ho sentito qualcosa.»
Il ragazzo non rispose, né si mosse. Allora Jennifer lo scosse di nuovo, più a lungo.
«Svegliati, per favore! Mi senti? Svegliati!»
Finalmente Alfred dischiuse le palpebre. Poi aprì la cerniera lampo del sacco a pelo e si alzò a sedere.
«Cosa c’è?» domandò. «Che succede, Jennifer? Perché mi hai svegliato?»
«Mi è parso di udire un grido, una specie di… barrito.»
«Un cosa?»
«Un barrito di elefante, credo… ma molto più forte, più roco.»
Il ragazzo si stropicciò energicamente il viso con le mani, quindi, in tono deciso:
«Mai sentito parlare di elefanti in una foresta del Nord America. Siamo nello Stato del Wyoming, Jennifer, non in Africa o in Asia, dove appunto vivono quei bestioni. Sono certo che il barrito lo hai soltanto sognato.»
La ragazza inghiottì la propria saliva, poi scosse la testa.
«No, Alfred! Ero sveglia quando l’ho sentito.»
«Sentito cosa, con esattezza?»
«Accidenti, testone! Quel dannato…»
Questa volta il barrito – o quello che era – si udì più possente, più vicino.
I due ragazzi si alzarono in piedi, di scatto, e restarono immobili, il fiato sospeso, a fissare le chiome degli alberi che oscillavano vivacemente, pur non essendoci un alito di vento. A un tratto comparve fra esse la testa enorme di una creatura mostruosa e, poco dopo, il resto del corpo: massiccio, imponente, che si fece largo tra i rami e i tronchi degli alberi, spezzandoli come se fossero fuscelli.
«Ma… ma…» balbettò Alfred, allungando una mano davanti a sé. «Non credo ai miei occhi. È un… tirannosauro.»
«Un tirannosauro?» si stupì Jennifer. «Ma come è possibile?! Questo grosso animale è vissuto nel Cretacico superiore, circa settanta milioni di anni fa.»
«Come fai a sapere queste cose?»
«Le so, Alfred! Ma tu, a scuola, cos’hai impara…»
Fu interrotta da un altro terribile grido, che uscì dalla bocca smisurata e irta di zanne dell’animale preistorico, il quale, sporgendo in avanti la testa, ne mostrò i segni di una ferocia inaudita, tra cui due piccoli occhi fiammeggianti.
Alfred, istintivamente, afferrò la ragazza per la mano.
«Scappiamo, presto!»
Corsero a perdifiato tra gli alberi della foresta, sentendo dietro di loro i passi pesanti e rumorosi dell’animale, che sembrava guadagnare terreno.
«Di là,» disse Alfred, «in quella radura. Su quell’alta parete rocciosa troveremo rifugio… Presto! Presto! Prima che sia troppo tardi… Ci sta raggiungendo.»
Jennifer, nel seguirlo, inciampò in una radice affiorante dal terreno. Cadde lunga distesa tra l’erba.
«Alfred! Alfred!» chiamò, disperata. «Aiutami, ti prego!»
Il ragazzo si fermò, si volse, la vide annaspare carponi. Poi guardò l’animale che si avvicinava rapidamente. Ebbe solo un attimo d’esitazione. Tornò indietro e aiutò la ragazza a rimettersi in piedi.
«Svelta, Jennifer!» disse. «Per l’amor del Cielo! Muovi quelle gambe!»
E ancora una volta, lei si lasciò trascinare per mano, come fosse da sé incapace di correre.
Dopo alcuni secondi, furono ai piedi della parete rocciosa. Vi s’inerpicarono velocemente il più in alto possibile.
«Qui staremo al sicuro,» disse Alfred un po’ rinfrancato, ma con il respiro affannoso. Poi scosse la testa. «Ancora non credo a quello che ho visto. Un tyrannosaurus rex! È… è… è…» Cercò di trovare le parole più adatte a rendere chiaro ciò che provava in quel momento, ma non vi riuscì.
Guardarono in basso, dove intanto era giunto il grosso animale il quale, la bocca spalancata, continuava a emettere un grido possente, che faceva accapponare la pelle.
«Urla quanto ti pare,» disse il ragazzo, assumendo d’un tratto un atteggiamento di sfida. «Ma non finiremo nella tua pancia, brutto bestione!»
Si volse a osservare Jennifer per rassicurarla, poi guardò nuovamente il tirannosauro. Ma nello spostare il peso del corpo dall’uno all’altro piede, una roccia cedette e Alfred, precipitando con un grido… si svegliò di soprassalto, il cuore che gli pulsava, nel petto e in gola, all’impazzata.
Il suo volto era madido di sudore.
«Cosa c’è?» chiese Jennifer, destata dal grido del ragazzo.
Tutti e due aprirono i sacchi a pelo e per qualche momento restarono fermi, nel silenzio assoluto della foresta.
«Ho fatto… un bruttissimo sogno, Jennifer,» disse Alfred, con voce tremante. «È stato spaventoso… agghiacciante!»
«Hai avuto un incubo?»
«Sì, sì… Tu e io eravamo inseguiti da un orribile…»
Restò in silenzio e inghiottì a fatica la propria saliva.
«Da cosa?» lo esortò Jennifer. «Da che cosa eravamo inseguiti?
«Da un… tyrannosaurus rex… Era…»
S’interruppe di colpo perché, proprio in quel momento, un improvviso e possente barrito fece tremare la foresta.
Istintivamente, i due ragazzi volsero gli occhi alle cime degli alberi, da dove videro alzarsi in volo, battendo le ali con frenesia, nugoli neri di uccelli spaventati.

 

 

 

 

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